Ilva |
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Martedì 27 Novembre 2012 00:43 | ||
L'Ilva è una società per azioni del Gruppo Riva che si occupa prevalentemente della produzione e trasformazione dell'acciaio. Con il nome della originaria azienda fondata nel 1905, è nata sulle ceneri della dismessa Italsider. Prende il nome dal nome latino dell'isola d'Elba, dalla quale era estratto il minerale di ferro che alimentava i primi altiforni costruiti in Italia a fine Ottocento. Il più importante stabilimento italiano è situato a Taranto, e costituisce uno dei maggiori complessi industriali per la lavorazione dell'acciaio in Europa. Altri stabilimenti sono a Genova, Novi Ligure (AL), Racconigi (CN), Varzi (PV), Patrica (FR). Storia
L'Ilva/Italsider è stata una delle maggiori aziende siderurgiche italiane del XX secolo. La sua storia è quasi centenaria e ha avuto inizio ai primi del secolo per concludersi a fine anni ottanta. Nata per iniziativa di industriali del settentrione d'Italia come ILVA (nome che ha poi riacquistato dagli anni novanta), con la nascita dell'IRI la società è passata poi sotto il controllo pubblico impiantando stabilimenti a Genova-Cornigliano, Taranto e Napoli-Bagnoli. Negli anni sessanta è diventato uno dei maggiori gruppi dell'industria di stato. A fine anni ottanta, con la crisi del mercato dell'acciaio, e dopo diverse traversie economico-finanziarie - culminate nel 1983 nella liquidazione volontaria e la conseguente cessione alla Finsider della partecipazione azionaria nella Nuova Italsider, l'Italsider è rinata con la costituzione del consorzio COGEA come Nuova Italsider Acciaierie di Cornigliano per poi essere rilevata, con l'originario nome di ILVA, dal gruppo siderurgico Riva. L'operazione di cessione a privati dello storico complesso - un tempo colosso della siderurgia - ha destato polemiche e perplessità in special modo fra dirigenza industriale, amministratori pubblici e popolazioni delle aree in cui si trovavano gli insediamenti produttivi, zone fortemente minate dall'inquinamento industriale provocato dalla presenza di altiforni. Con gli anni novanta è iniziata la laboriosa opera di dismissione degli impianti produttivi e una riconversione delle aree precedentemente occupate dagli insediamenti siderurgici. OriginiL'atto di costituzione dell'ILVA, avvenuto nel capoluogo ligure, risale al 1º febbraio 1905 dalla fusione delle attività siderurgiche dei gruppi Elba (che operava a Portoferraio), Terni e della famiglia romana Bondi, che aveva realizzato un altoforno a Piombino. Il capitale sociale iniziale era di dodici milioni di lire e di esso facevano parte la società Siderurgica di Savona (controllata dalla società Terni), la Ligure Metallurgica e, in forma diretta, la stessa Terni. Successivamente si aggiunse al capitale iniziale - portandolo a venti milioni - quello della Elba, il cui ingresso veniva a completare la compagine societaria. Il gruppo base Terni-Elba - attivo nel settore dell'estrazione del minerale di ferro soprattutto nell'isola d'Elba - era controllato da esponenti della finanza genoveseFonte. Storiaindustria.it. che intendevano sfruttare le agevolazioni programmate con la legge per il risorgimento economico di Napoli - varata nel luglio 1904 - che prevedeva l'installazione entro il 1908 di un grande impianto a ciclo integrato a BagnoliFonte: Fondazioneansaldo.it.. L'Ilva era stata costituita, con il sostegno governativo, per realizzare il polo siderurgico di Bagnoli, nell'ambito dei piani per lo sviluppo dell'industrializzazione nel napoletano elaborati dall'allora deputato Francesco Saverio Nitti; questo le permetteva di ricevere forniture di minerale di ferro a prezzo agevolato e di godere di forti barriere doganali che la proteggevano dalla concorrenza delle più efficienti imprese siderurgiche straniere. ![]() Targa metallica posta sul ponte ferroviario della ferrovia Padova-Bologna che attraversa il fiume Adige tra Granzette, frazione di Rovigo, e Boara Pisani.
L'azione di dumping messa in atto dai concorrenti esteri - che si sarebbe rivelata al pari dannosa ottant'anni dopo, decretando il definitivo stato di crisi del settore acciaio - fece subito capire che l'azione della nuova società non sarebbe stata tuttavia agevole. Nel periodo della prima guerra mondiale, per sfruttare le opportunità offerte dalle commesse belliche, l'Ilva si integrò a valle acquisendo aziende cantieristiche ed aeronautiche; questo richiese ingentissimi investimenti e conseguenti debiti, che, a guerra finita, misero l'Ilva in gravi difficoltà finanziarie. L'ingresso nell'IRI e gli anni di ItalsiderNel 1921 la Banca Commerciale Italiana, il maggior creditore dell'azienda, ne rilevò la proprietà assieme a quella di numerose imprese siderurgiche minori. Con la costituzione dell'IRI l'Ilva e tutte le altre imprese possedute dalla Banca Commerciale passarono in mano pubblica: tutta la siderurgia italiana a ciclo integrale (altiforni di Portoferraio, Piombino, Bagnoli e Cornigliano) era posseduta dallo Stato attraverso l'IRI. Con l'immediato secondo dopoguerra, e grazie soprattutto alla conseguente espansione della domanda di acciaio per l'industria automobilistica e dell'elettrodomestico, l'Ilva aveva avuto agio di rafforzare - passando nel frattempo sotto il controllo pubblico attraverso la finanziaria Finsider - la propria predominanza sul mercato. Punto di forza del nuovo fausto periodo era lo stabilimento "Oscar Sinigaglia" di Cornigliano, in Val Polcevera. ![]() Altoforno in dismissione a Cornigliano (Genova)
Nel 1961 con la costruzione del nuovo polo siderurgico di Taranto l'Ilva prese il nome di Italsider. La liquidazione di Italsider: il ritorno a IlvaLa successiva crisi del settore, registrata negli anni 1980, ne ha poi provocato un grave stato di crisi. La denominazione Ilva fu ripresa nel 1988 quando Italsider e Finsider furono messi in liquidazione e scomparvero. La "nuova" Ilva fu smembrata alla vigilia del processo di privatizzazione; già ceduto l'impianto di Cornigliano e chiuso quello di Bagnoli, l'acciaieria di Piombino fu venduta al gruppo bresciano Lucchini, mentre l'attività più significativa, il grande polo siderurgico di Taranto, passò nel 1995 al Gruppo Riva. Impatto ambientaleL'Ilva è al centro di un vasto dibattito per il suo impatto ambientale sia a Taranto sia a Genova. Le sue emissioni sono state oggetto di diversi processi penali per inquinamento che si sono conclusi in alcuni casi e gradi di giudizio con la condanna di Emilio Riva e di altri dirigenti. GenovaA Genova nel 2002 sono state chiuse le cokerie per il loro impatto sulla salute, in particolare nel quartiere di Cornigliano, nelle cui vicinanze sorge lo stabilimento siderurgico. Uno studio epidemiologico[3] ha evidenziato una relazione tra polveri respirabili (diametro inferiore od uguale a 10 micron o PM10) emesse dagli impianti siderurgici ed effetti sulla salute. Lo studio epidemiologico attesta che nel quartiere di Cornigliano nel periodo 1988-2001, la mortalità complessiva negli uomini e nelle donne risulta costantemente superiore al resto di Genova. Nel luglio 2005 è stato spento anche l'altoforno numero 2 dello stabilimento di Cornigliano. Finisce l'era della siderurgia a caldo a Genova con notevole abbattimento dell'inquinamento. Taranto![]() Stabilimento Ilva di Taranto, dicembre 2007
Lo stabilimento Ilva di Taranto è localizzato nel quartiere Tamburi e, precisamente, nell'area compresa tra la Strada statale 7 Via Appia, la Superstrada Porto-Grottaglie, la Strada Provinciale 49 Taranto-Statte e la Strada provinciale 47, per una superficie complessiva di circa 15450000 metri quadrati. In alternativa alla città di Taranto, per il IV Centro Siderurgico si pensò anche alle città di Vado Ligure e di Piombino (ampliamento dello stabilimento già esistente), ma si scelse Taranto grazie alle sue aree pianeggianti e vicine al mare, disponibilità di calcare, manodopera qualificata nonché alla sua ubicazione nel Mezzogiorno d'Italia, con annessa possibilità di creare posti di lavoro (43000 tra diretti e indotto nel 1981) e di usufruire di contributi statali per tale obiettivo Al 2005 sono 188 le imprese pugliesi dell'indotto ILVA, che fatturano in totale 310 milioni di euro. Il IV Centro Siderurgico di Taranto sfornava nel 1970 il 41% della produzione totale di Italsider, percentuale che nel 1980 raggiunse il 79% del totale. L'impianto si presenta in un'area a forte densità abitativa. Sono considerati particolarmente inquinanti i parchi minerali, le cokerie e il camino E312 dell'impianto di agglomerazione. Nel 2012 sono state depositate preso la Procura della Repubblica di Taranto due perizie (una chimica e l'altra epidemiologica) nell'ambito dell'incidente probatorio che vede indagati Emilio Riva, suo figlio Nicola, Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento siderurgico, e Angelo Cavallo, responsabile dell'area agglomerato. A loro carico sono ipotizzate le accuse di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico.[5] Nella prima perizia, sulle emissioni, si legge che nel 2010 Ilva ha emesso in aria le seguenti sostanze convogliate (tabella A-1 della perizia):
Inoltre, da dichiarazione E-PRTR della stessa ILVA (tabella C-1 della perizia):
A tali emissioni convogliate, vanno sommate tutte quelle non convogliate, cioè disperse in modo incontrollato, la cui quantità è riportata nella perizia nelle tabelle A-III, B-III, C-III, D-III, E-III, F-III, G-III, H-III, I-III, e riguardano sostanze come tutte quelle suddette, in aggiunta ad acido solfidrico, vanadio, tallio, berillio, cobalto, policlorobifenili (PCB) e naftalene. La fuoriuscita di gas e nubi rossastre dal siderurgico (slopping) è un fenomeno documentato dai periti chimici e dai NOE di Lecce. Come da risposta al quesito II della perizia sulle emissioni, la diossina trovata nel corpo degli animali, abbattuti gli anni precedenti proprio perché contaminati, è risultata essere la stessa diossina emessa dai camini del polo siderurgico. Per ciò che riguarda la perizia epidemiologica, i periti nominati della Procura di Taranto hanno quantificato,per tutte le cause di morte, nei sette anni considerati:
Di questi, considerando solo i quartieri Tamburi e Borgo, i più vicini alla zona industriale:
Secondo i periti nominati dalla procura, la situazione sanitaria a Taranto è molto critica, anzi unica in Italia. [2] Gran parte delle sostanze rilevate nella perizia sulle emissioni sono state poi considerate in quella epidemiologica come "di interesse sanitario". Gli inquinanti sono in concentrazioni più elevate nei quartieri in prossimità dell'impianto. Le stesse concentrazioni variano nel tempo e dipendono dalla direzione del vento. Gli esiti sanitari per cui esiste una "forte evidenza scientifica" di possibile danno dovuto alle emissioni del siderurgico sono:
Gli esiti sanitari per cui vi è una "evidenza scientifica suggestiva" di un possibili danno dovuto alle emissioni del siderurgico sono:
Per quanto riguarda la diossina, gli impianti dell'Ilva ne emettevano nel 2002 il 30,6% del totale italiano, ma sulla base dei dati INES (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) del 2006, la percentuale sarebbe salita al 92%, contestualmente allo spostamento in loco delle lavorazioni "a caldo" dallo stabilimento di Genova[6]. Va però tenuto in considerazione il fatto che il Registro INES, non prevedendo all'epoca sanzioni per omesse dichiarazioni, è molto poco rappresentativo della situazione reale. I dati relativi al 2006, ad esempio, registrano le dichiarazioni di meno di 700 aziende, sulle oltre 7.000 che - secondo le stime - sarebbe state tenute a presentarle. Inoltre solo 5 hanno comunicato al registro di emettere diossina[7]. L'incidenza del 92% è quindi calcolata su tale esiguo numero di aziende. Ilva, nelle sue dichiarazioni ufficiali, indica nel 21% sul totale italiano la percentuale di diossine emessa dall'impianto di Taranto. Va tuttavia aggiunto che l'Ilva ha sempre sottostimato la diossina, dichiarandone al registro INES meno di 100 grammi all'anno, quando invece le rilevazioni Arpa ne hanno riscontrato circa 172 grammi anno nelle misurazioni del 2008. Le ultime rilevazioni rese pubbliche dall'Arpa Puglia, comunque, confermano il progressivo miglioramento della situazione. Dal 1994 al 2011 si è passati da 800 a 3,5 grammi di diossine all'anno. La media di emissione annuale di diossine e furani, nello stabilimento Ilva di Taranto, è stata nel 2011 pari a 0,0389 ngTEQ/Nm3, inferiori al limite di 0,4 stabilito dalla legge regionale “anti-diossina” (l.r. n. 44/2008)[3]. Tali rilevamenti, però, vengono effettuati non anche di notte, sempre preavvisando l'azienda, non in continuo, e soprattutto per soli dodici giorni all'anno (quattro campagne con tre rilevamenti ciascuna): quella di 0,0389 ngTEQ/Nm3 è una media quindi che potrebbe non fotografare esattamente la realtà, considerando anche le decurtazioni del 35% per incertezza. In ogni caso la quantità di diossina riversata nell'ambiente ha reso non pascolabile il terreno attorno all'Ilva nelle aree incolte. Precisamente, un'ordinanza della regione Puglia vieta il pascolo entro un raggio di 20 km attorno l'area industriale che, quindi, diventa un serio ostacolo per la crescita delle aziende zootecniche e produttrici di latte e prodotti caseari, oltre che esserlo per tutte quelle aziende di mitilicoltura, se venisse dimostrato il legame delle emissioni industriali anche con la diossina e PCB rinvenute nelle cozze. La perizia epidemiologica si conclude con un'affermazione che sintetizza forse nemmeno completamente la reale situazione dell'area ionica: "L'esposizione continuata agli inquinanti dell'atmosfera emessi dall'impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell'organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte". Ordinanza di sequestro degli impianti e arresto dei dirigentiIl 26 luglio 2012 il GIP di Taranto dispone il sequestro senza facoltà d'uso dell'intera area a caldo dello stabilimento siderurgico Ilva. I sigilli sono previsti per i parchi minerali, le cokerie, l'area agglomerazione, l'area altiforni, le acciaierie e la gestione materiali ferrosi.[8] Nell'ordinanza il GIP conclude che "Chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato nell'attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza". Oltre il sequestro degli impianti, il GIP dispone gli arresti di Emilio Riva, presidente dell'Ilva Spa fino al maggio 2010, il figlio Nicola Riva, succedutogli nella carica e dimessosi pochi giorni prima dell'arresto, l'ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso, il dirigente capo dell'area del reparto cokerie, Ivan Di Maggio, il responsabile dell'area agglomerato, Angelo Cavallo. Il 30 luglio 2012 i carabinieri del NOE di Lecce notificano il provvedimento di sequestro. Unità produttive in ItaliaUnità produttiva di TarantoL'unità produttiva a ciclo integrale di Taranto dispone dei seguenti impianti:
Unità produttiva di GenovaL'unità produttiva di Genova dispone dei seguenti impianti:
Unità produttiva di Novi Ligure![]() Lo stabilimento ILVA di Novi Ligure
L'unità produttiva di Novi Ligure dispone dei seguenti impianti:
Unità produttiva di RacconigiL'unità produttiva di Racconigi dispone dei seguenti impianti:
Unità produttiva di VarziL'unità produttiva di Varzi, attualmente chiusa, disponeva dei seguenti impianti:
Unità produttiva di PatricaL'unità produttiva di Patrica dispone dei seguenti impianti:
Curiosità
![]() Veduta dal Parco Virgiliano di quanto resta dell'impianto di Bagnoli (Napoli)
![]() Castello Raggio (Cornigliano), ai primi del Novecento
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Ultimo aggiornamento Martedì 27 Novembre 2012 00:58 |