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Legge Mattarella (detta Mattarellum) |
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Giovedì 05 Dicembre 2013 14:24 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Per Legge Mattarella, dal nome del suo relatore, Sergio Mattarella, si intende una riforma della legge elettorale della Repubblica italiana, che fu attuata in seguito al referendum del 18 aprile 1993, con l'approvazione delle leggi 4 agosto 1993 n. 276 e n. 277, che introdussero in Italia per l'elezione del Senato e della Camera dei deputati un sistema elettorale misto: maggioritario a turno unico per la ripartizione del 75% dei seggi parlamentari unito per il rimanente 25% dei seggi assegnati al recupero proporzionale dei più votati non eletti per il Senato attraverso un meccanismo di calcolo denominato "scorporo" e al proporzionale con liste bloccate e sbarramento del 4% alla Camera. Il sistema così concepito riunì pertanto tre diverse modalità di ripartizione dei seggi (quota maggioritaria di Camera e Senato, quota proporzionale alla Camera, recupero proporzionale al Senato) e per tale ragione venne anche chiamato "Minotauro" in reminiscenza del nome del mostruoso essere parte uomo e parte toro presente nella mitologia greca.[1][2][3]
La legge sostituì il precedente sistema proporzionale in vigore dal 1946, ed è rimasta in vigore fino al 2005 quando venne sostituita dalla Legge Calderoli.
La legge regolò le elezioni politiche italiane del:
Il politologo Giovanni Sartori coniò per la legge l'ulteriore soprannome di Mattarellum in riferimento al nome del relatore e ritenne a suo giudizio illusorio il tentativo di creare un sistema prevalentemente maggioritario all'italiana attraverso il "Minotauro".[4]
Indice
Funzionamento
La Legge Mattarella configurava un sistema elettorale maggioritario, corretto da una sensibile quota proporzionale pari ad un quarto dei seggi di ciascuna assemblea.
In prima istanza, il territorio nazionale era suddiviso in 475 collegi uninominali per la Camera, e in 232 per il Senato. L'attribuzione di questo primo gruppo di seggi avveniva molto semplicemente in base ad un sistema maggioritario a turno unico plurality: veniva eletto parlamentare il candidato che avesse riportato la maggioranza relativa dei suffragi nel collegio. Nessun candidato poteva presentarsi in più di un collegio. I rimanenti seggi erano invece assegnati con un metodo tendenzialmente proporzionale, funzionante però con meccanismi differenziati fra le due assemblee. Per quanto riguarda la Camera, l'elettore godeva di una scheda elettorale separata per l'attribuzione dei 155 seggi residui, cui accedevano solo i partiti che avessero superato la soglia di sbarramento nazionale del 4%. Il calcolo dei seggi spettanti a ciascuna lista veniva effettuata nel collegio unico nazionale mediante il metodo Hare dei quozienti naturali e dei più alti resti; tali seggi venivano poi ripartiti, in ragione delle percentuali delle singole liste a livello locale, fra le 26 circoscrizioni plurinominali in cui era suddiviso il territorio nazionale, e all'interno delle quali i singoli candidati — che potevano corrispondere a quelli presentatisi nei collegi uninominali — venivano proposti in un sistema di liste bloccate senza possibilità di preferenze. Il meccanismo era però integrato dal metodo dello scorporo, volto a dar compensazione ai partiti minori fortemente danneggiati dall'uninominale: successivamente alla determinazione della soglia di sbarramento, ma antecedentemente al riparto dei seggi, alle singole liste venivano decurtati tanti voti quanti ne erano serviti a far eleggere i vincitori nell'uninominale — cioè i voti del secondo classificato più uno — i quali erano obbligati a collegarsi ad una lista circoscrizionale.
Per quanto riguarda il Senato, gli 83 seggi proporzionali venivano assegnati, secondo il dettato costituzionale, su base regionale. In ogni Regione venivano assommati i voti di tutti i candidati uninominali perdenti che si fossero collegati in un gruppo regionale, ed i seggi venivano assegnati utilizzando il metodo D'Hondt delle migliori medie: gli scranni così ottenuti da ciascun gruppo venivano assegnati, all'interno di essa, ai candidati perdenti che avessero ottenuto le migliori percentuali elettorali. Ancor più che alla Camera, ove lo scorporo era parziale, lo scorporo totale previsto per il Senato faceva funzionare la quota proporzionale di fatto come una stramba quota minoritaria, in aperto contrasto con l'impianto generale della legge elettorale.
Schema pratico
Il meccanismo pratico per l'attribuzione dei seggi del Senato si svolgeva secondo l'esempio sotto riportato, in cui si crea un caso immaginario di una Regione cui fossero attribuiti 8 seggi, e nella quale fossero conseguentemente istituiti 6 collegi uninominali.
I sei seggi uninominali sono stati conquistati in numero di 3 dai "Cerchi", 2 dai "Quadrati" e 1 dai "Triangoli". Si passa quindi a calcolare l'attribuzione dei 2 seggi riservati alla quota proporzionale: a tal fine, si assommano i voti di tutti i candidati perdenti delle quattro coalizioni in gara.
Viene quindi utilizzato il metodo D'Hondt delle migliori medie.
Alla coalizione dei "Quadrati" e a quella dei "Triangoli" è stato dunque attribuito un seggio nella quota proporzionale. Vengono dunque individuati i migliori perdenti di questi due raggruppamenti.
A fronte di 138 000 voti, i "Cerchi" hanno ottenuto 3 seggi come pure i "quadrati", a cui sono però andati solo 101 000 suffragi, mentre le 81 000 preferenze dei "Triangoli" hanno scaturito 2 seggi. Nessuna rappresentanza hanno invece colto i "Pentagoni" coi loro 57 000 voti.
Per quanto riguarda la Camera, l'impianto generale era abbastanza simile, salvo alcune differenze. Innanzitutto lo scorporo era parziale: mentre nell'esempio siffatto per il Senato, nel "Collegio Uno" i "Cerchi" non avanzavano alcun voto residuo, nel caso della Camera essi avrebbero perso solo 15 001 voti, cioè quelli necessari alla vittoria. Il calcolo dei seggi proporzionali, su base nazionale e non regionale, non avveniva all'interno degli stessi collegi come al Senato, ma sulla base dei risultati espressi dagli elettori tramite l'apposita scheda elettorale per la quota proporzionale della Camera.
Effetti e obiettivi
Il già descritto aspetto compensativo della quota proporzionale poteva venire eluso dall'uso delle cosiddette liste civetta, per scaricare su queste, anziché nel reale partito di riferimento di un candidato uninominale, i voti da scomputarsi per ogni collegio in cui si era risultati vincenti: bastava che il candidato dichiarasse di essere legato a una lista che veniva appositamente creata per questo scopo. Il trucco, congegnato per la prima volta durante le elezioni del 2001, fu attuato sia dalle forze di centrosinistra sia da quelle di centrodestra, creando le une una lista chiamata Paese Nuovo, e collegandosi le altre alla lista Abolizione Scorporo.
La personalizzazione dell'elezione era una delle caratteristiche colte dal legislatore istituendo i collegi uninominali i quali, essendo ristretti in un territorio limitato geograficamente e per numero di elettori, avrebbero dovuto favorire l'instaurarsi di un rapporto più diretto fra rappresentati e rappresentante.
Ai tempi in cui era in vigore, molti commentatori sostenevano che questo tipo di sistema elettorale incoraggiasse i partiti ad apparentarsi e presentarsi in coalizioni per superare gli avversari in numero di voti e vincere il collegio uninominale. Benché questo effettivamente accadesse, bisogna tenere presente che, una volta eletti, i candidati d'una coalizione o d'un partito potevano dar vita a nuove formazioni politiche, come di fatto numerose volte avvenne nel caso italiano: va, però, tenuto a mente come il dato numerico mostri una riduzione dei gruppi parlamentari (dai 14 dell’XI Legislatura, l’ultima prima dell’approvazione delle leggi qui in esame, ai 10 della Legislatura successiva, fino agli 8 della XIV Legislatura, l’ultima sotto la vigenza del mattarellum, per poi tornare a 14 nel corso della XV Legislatura, la prima a seguito dell’approvazione della riforma Calderoli) dimostrando, quindi, l’efficacia della normativa da questo punto di vista. Visto che esisteva spesso il rischio che l'assegnazione di un seggio dipendesse da poche manciate di voti, scaturiva la possibilità che un partito anche di piccole dimensioni potesse far leva sulla sua importanza, reale o presunta, per vedersi maggiormente riconoscere le proprie richieste in termini di programma e di candidati nei seggi uninominali da farsi assegnare dal capo della coalizione. Giovanni Sartori conclude quindi che l'effetto della legge fu semmai quello di aumentare i partiti, intesi come forze politiche autonome con concrete possibilità di influire sulla maggioranza.[5]
Ripartizione dei seggi
Camera dei deputati
Fonte: Camera dei deputati
Disegno dei collegi
Note
Collegamenti esterni
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Ultimo aggiornamento Giovedì 05 Dicembre 2013 14:32 |
Supplemento Enciclopedico del MONITORE NAPOLETANO
Periodico mensile registrato presso il Tribunale di Napoli Num. 45 dell' 8 giugno 2011