LIBERTÀ |
EGUAGLIANZA |
MONITORE NAPOLETANO |
Fondato nel 1799 da Carlo Lauberg ed Eleonora de Fonseca Pimentel Anno CCXXVI |
Rifondato nel 2010 |
Un cambiamento di mentalità |
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Scritto da Tommaso Manzillo |
Giovedì 22 Marzo 2012 11:37 |
La situazione del debito del settore privato unito al pubblico ha ormai raggiungo i cento miliardi di Euro, secondo il ministro Passera, ingessando tutto il sistema produttivo, mentre un suo ripianamento darebbe una necessaria spinta al mondo delle imprese, costretto ad attendere diversi mesi prima di incassare i suoi crediti, soprattutto quelli verso la Pubblica Amministrazione: allo stato attuale è l’azienda pubblica dello Stato il più grande insolvente in assoluto, il più ritardatario nei pagamenti, creando un circolo vizioso e una reazione a catena, dalle conseguenze inimmaginabili. A questo si aggiunge il calo dei consumi dovuto soprattutto all’aumento del prezzo dei carburanti, e alle aspettative di un inasprimento fiscale a partire dall’anno in corso, obbligando gli italiani a rimodulare il carrello della spesa. Si calcola un aumento dell’IMU fino a tre volte la vecchia ICI, oltre che sensibili incrementi nella nuova tariffa dei rifiuti (RES) che partirà dopo il 2012. Certamente in un anno caratterizzato da una pesante crisi economica l’aumento della pressione fiscale ritarderà la ripresa della fiducia dei consumatori italiani e poi anche delle imprese, quest’ultime in attesa di avviare nuovi investimenti in Italia. Le casse pubbliche vanno rimpinguate quando il vento soffia a favore, nei periodi di crescita economica, per poter attingervi nei momenti come questi. Avremmo bisogno di una politica keynesiana di incremento della spesa pubblica, con investimenti nelle grandi opere, se solo le casse dello Stato fossero piene, ma nei periodi della crescita economica si è pensato ad aumentare la spesa pubblica appesantendo il carico del debito pubblico italiano, cercando di allargare il proprio bacino elettorale.
Oggi siamo tutti chiamati a pagare il conto di scelte scellerate del passato, soprattutto i giovani, con la riforma dell’articolo 18 dello Statuto del Lavoratori, scelta indispensabile per gettare le basi di una ripresa che stenta a venire. Certo, il mondo delle imprese non è entrato in crisi per colpa dello stesso articolo 18, ma sono state altre le cause! In seguito alla stabilizzazione dei mercati finanziari, che spesso anticipano gli andamenti sull’economia reale, in America già si vedono timidi segnali di ripresa, che potrebbero farci visita già sul finire di quest’anno, per consolidarsi dal 2014. Dobbiamo trovarci preparati con le dovute riforme strutturali di cui ha bisogno il Paese, ma soprattutto con un cambiamento nella mentalità di noi italiani, nella direzione dell’impegno serio e proficuo, per garantire un futuro alle generazioni a venire, delle quali faranno parte attiva i nostri figli. Riforme che interessano la giustizia e la difesa della legalità come primo ingrediente, seguito da quelle economiche fatte di tagli alla spesa improduttiva, lotta contro le lobby di potere che hanno ridimensionato i facili entusiasmi del governo Monti per le liberalizzazioni, i tagli agli enti inutili, parcheggio abusivo dei trombati della politica: chi perde le competizioni elettorali deve avere il coraggio di tornare a casa e cercarsi un lavoro alla pari di tutti gli altri, se è in grado di svolgere una qualche mansione, svecchiando questa logora politica fatta di vecchie figure che hanno creato dei veri e propri disastri sociali, civili ed economici al nostro Paese. Dopo anni in cui abbiamo assistito ad una crescita piuttosto limitata tra lo 0 e l’1%, per poter ripartire serve rinunciare ai privilegi di cui abbiamo goduto finora, e creare le condizioni per il lavoro, perché questo genera ricchezza e non le rendite di posizione. Dopo aver festeggiato i 150 anni dall’Unità d’Italia, occorre veramente dare un taglio al passato e pensare veramente al futuro di noi giovani.
Testo dell' Articolo 18 dello statuo dei Lavoratori Ferma restando l'esperibilità delle procedure previste dall'art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'art. 2 della legge predetta o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito per il licenziamento di cui sia stata accertata la inefficacia o l'invalidità a norma del comma precedente. In ogni caso, la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione, determinata secondo i criteri di cui all'art. 2121 del codice civile. Il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al comma precedente è tenuto inoltre a corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtù del rapporto di lavoro dalla data della sentenza stessa fino a quella della reintegrazione. Se il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, il rapporto si intende risolto. La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'art. 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'art. 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile. L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'art. 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma, ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore. |