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Disabilità Terminologia e com'è vissuta da un operatore ODA |
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Scritto da Assunta Mazzacane |
Martedì 26 Gennaio 2021 12:05 |
Gli anni 70 segnarono un passaggio importante per la rielaborazione del tema salute, delle malattie della disabilità e del modo di concepirlo.
Nel 1975 venne approvato dall’assemblea delle Nazioni Unite il primo documento sulla disabilità denominato: “DECLARATION OHE RIGHT OF DISABLES PERSON”.
Si comincio’ ad inserire una nuova prospettiva nel metodo di cura delle persone malate con disabilità. Si pose attenzione sulla parte sociale ponendo lo sguardo sulle barriere create appunto dalla società, considerate ostacolo per la partecipazione alla vita sociale delle persone affette da disabilità. Gorge ENGEL psichiatra americano nel 1977 sviluppo’ una nuova prospettiva della salute definita modello “BIOPSICOSOCIALE” che ebbe una grande influenza sul modo di interpretare e affrontare le tematiche relative alla salute e alla malattia, con una “visione olistica” che presuppone unità tra mente e corpo affermando le loro reciproche influenze.
La visione olistica pone al centro d’interesse la persona disabile, la sua famiglia i suoi bisogni e chiama in causa tutte le istituzioni, pubbliche e private perché facciano ciascuno la propria parte nel garantire al disabile pari opportunità di integrazione e affermazione di sé.
Questa nuova visione è volta a realizzare una rete di sostegno, di opportunità e di condizioni favorevoli per coloro che sono diversamente abili e naturalmente le loro famiglie, in modo da rendere possibile e facilitare il processo di inserimento. Lo sguardo fu puntato anche sull’assistenza sanitaria di “base” che viene poi considerata essenziale perché fondata su metodi pratici e tecnologie appropriate e rese praticabili agli individui con adeguatezza e costi accessibili. Nel 1980 l’OMS attua un’importante distinzione tra menomazione, disabilità e handicap dando loro la giusta definizione, infatti la menomazione viene definita come la perdita a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica; la disabilità invece come qualsiasi limitazione o perdita (conseguente la menomazione) delle capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano; e chiarita anche la definizione di Handicap come condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o una disabilità, che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale in relazione all’età, al sesso e ai fattori socio-culturali.
Lo scopo di quest’ultimo termine era quello di poter partecipare con pari opportunità alla vita sociale in ambienti purtroppo inadeguati.
Nell’ultimo decennio l’approccio al problema della disabilità è stato ulteriormente perfezionato avvicinandosi sempre più al modello che si è affermato poi ai nostri giorni.
Viene consolidata l’opinione di dover prendere in considerazione più generalmente ogni situazione di emarginazione e svantaggio sociale, inoltre è stato ribadito e stabilito che la società ha l’obbligo e il dovere di mettere in atto tutte le procedure ritenute necessarie per favorire l’inserimento sociale dove il disabile deve poter usufruire di interventi mirati che gli consentano non solo di recuperare il maggior grado possibile di autonomia a livello fisico ma anche sociale. La svolta cominciò a spostarsi sui “DIRITTI UMANI” poiché questo consentiva di trovare un riferimento di più ampio aspetto; non solo eguaglianza rispetto ai cittadini, ma difesa della dignità umana. I diritti umani diventarono il punto di partenza per la progettazione degli interventi nell’ambito della politica sociale; passando dal modello precedentemente adottato e centrato sulla malattia piuttosto che sulla persona, ad un modello orientato a garantire diritti alla persona con disabilità a livello non solo sociale, ma anche politico ed economico.
La disabilità finalmente viene inquadrata come una condizione di vita, appartenente a tutti gli esseri umani, più semplicemente come una condizione dell’individuo che comporta la necessità di compiere le attività della vita quotidiana in modo differente. Nell’agosto del 2006 è stata dichiarata la “CONVENZIONE ONU sui diritti delle persone con Disabilità” che ha vincolato gli stati membri al riconoscimento dei diritti e all’eliminazione di azioni e norme discriminanti.
Gli stati partecipanti alla Convenzione hanno riconosciuto il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società con la stessa libertà di scelta degli altri individui e hanno adottato misure efficaci al fine di facilitare il pieno godimento di tale diritto e alla loro piena inclusione e partecipazione sociale. Oggi a livello internazionale si preferisce parlare di persone con disabilità usando il termine “persone” al posto delle forme come “invalido”, “disabile” etc. Che lascia intatto il termine persona in sé e utilizzando il termine “con” per descrivere qualcosa che non appartiene a quella persona, ma che le è stato imposto.
Secondo la classificazione Internazionale del funzionamento della Disabilità e della Salute (ICF)(OMS 2001) la disabilità non deve essere vista come un attributo della persona, ma come una situazione in cui qualsiasi individuo può trovarsi ogniqualvolta si presenti un divario tra le capacità individuali e i fattori ambientali, e questo ponga restrizioni nella qualità della vita, nel pieno sviluppo della potenzialità della persona nella società.
Come è vissuta ai tempi odierni? Come operatore ODA (operatore d’ausilio e/o aiuto) che si occupa proprio di persone con disabilità volta all’osservazione alla cura e all’ascolto posso dire che si trovano a vivere uno stato di disagio non solo individuale ma anche familiare, e a questo vi si aggiunge l’intolleranza e il menefreghismo di molti soprattutto se si trovano a dover dare un supporto anche se minimo in caso di bisogno.
Ci sono ancora strutture sociali non adeguate ad accogliere persone con disabilità come molti negozi, barbieri, parrucchieri, bar, ristoranti che non hanno la predisposizione adeguata.
Vi sono realtà soprattutto nei piccoli paesini che hanno ancora barriere architettoniche limitanti perché sprovvisti di marciapiedi idonei, saliscendi per i gradini ecc.
In alcune mie uscite da assistente volontaria con ospiti di una RSA molto importante mi è capitato di dover accompagnare persone con disabilità a visitare in maniera periodica delle Chiese e constatare che non a tutte vi è stato consentito l’accesso proprio perché non idonee.
Vi sono difficoltà riscontrate a livello sanitario se si parla dell'iter burocratico a cui devono far fronte che è lungo ed estenuante; avere assistenza sanitaria di poche ore alla settimana e quindi dover ricorrere ad un’assistenza privata soprattutto se i carregiver lavorano, gravando sulla parte economica.
Durante il covid sono stati sospesi i supporti assistenziali da parte delle ASL così come le riabilitazioni e rinviate tutte le visite specialistiche e molte famiglie per problemi economici hanno dovuto rinunciare anche all’assistenza privata, influendo purtroppo sullo stato fisico e mentale non solo della persona non abile ma anche di chi gli è vicino. A Tal proposito è bene sottolineare che la componente economica purtroppo gioca un ruolo fondamentale perché fa la differenza. Un disabile che è economicamente più stabile ha accesso a canali privilegiati, riesce ad affrontare la sua non abilità in maniera diversa avvalendosi di ausili, comfort e crearsi ambienti su misura non solo nel proprio habitat ma anche nel sociale, cosa che non avviene per coloro che sono economicamente più deboli.
Il modello BIOPSICOSOCIALE che ebbe una grande influenza negli anni 70’ a tutt’oggi va rivalutato e attuato, per garantire alle persone non abili di mantenere salda la loro dignità in quanto persona e come detto in precedenza valutare il tutto sotto una visione olistica donando loro la possibilità di non sentirsi un peso per la società ma parte di essa.
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