16 marzo 1978 - Via Fani l’inizio del Caso Moro |
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Scritto da Giovanni Di Cecca | |
Venerdì 16 Marzo 2012 21:36 | |
Di questa lunga serie di busti, sicuramente l’eroe per eccellenza, vittima di quel gioco di potere chiamato Guerra Fredda è Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978, 34 anni fa.
I fatti
Aldo Moro era nel 1978 Presidente della Democrazia Cristiana, il partito di maggioranza relativa nel quadro politico italiano.
Il Governo Andreotti III, uscito dalle urne nel 1976 aveva concluso la sua vita, e, come spesso accade nella Politica Italiana (vedi il caso Monti) per una maggioranza che finisce, se ne riforma un’altra.
Il Governo Andreotti IV era stato formato l’11 marzo 1978 e, come prassi, necessitava dell’approvazione dei due rami del Parlamento.
Il 16 marzo 1978, l’ On. Aldo Moro fu prelevato dalla scorta dalla sua abitazione per essere accompagnato alla Camera dei Deputati per il voto di approvazione del Governo.
Le Brigate Rosse progettarono un agguato cosiddetto “a cancelletto”, cioè un metodo che blocca le auto in modo da non poterle far muovere in nessun senso.
Una volta bloccate le auto il commandos delle Brigate Rosse era così formato:
Prospetto dell'agguato di Via Fani
Mario Moretti sulla FIAT 128 bianca davanti la FIAT130 dove viaggiava Moro
A controllare l’incrocio via fani – via stresa c’è Barbara Balzerani
A sparare sulla 130 di Moro sono Valerio Morucci e Raffaele Fiore sulla sinistra
A sparare sull’Alfetta di scorta Prospero Gallinari e Franco Bonizoli sulla destra
In fondo a chiudere il “cancelletto superiore” con un’altra FIAT 128 Alvaro Lojacono ed Alfredo Casimirri.
Su via Stresa c’è una FIAT 132 guidata da Bruno Seghetti che con una manovra a retromarcia carica Aldo Moro e fugge via.
Dall’agguato restano, invece, uccisi gli uomini della scorta:
Iniziano così i 55 giorni del sequestro che cambiò l’Italia.
Lo scacchiere Politico
Appena la notizia della Strage di Via Fani, arriva alla Camera.
In primo luogo il Governo Andreotti IV divenne esecutivo (per dare un quadro di stabilità politica alla Nazione) e fu definito Governo di Solidarietà Nazionale.
Il Ministro dell’Interno, all’epoca, era Francesco Cossiga, futuro VIII Presidente della Repubblica.
Appena si ebbe la notizia del sequestro Moro, Cossiga creò due comitati di crisi uno “ufficiale” ed uno “ristretto”
Si venne a scoprire poi, che molti esponenti dei due comitati erano afferenti alla Loggia Massonica P2 di Licio Gelli. Anche Licio Gelli stesso era tra gli esponenti, sotto il falso nome di Ingegner Luciani.
Il nodo politico, avvenne, su questo fronte: trattare con le Brigate Rosse oppure mantenere la linea dura?
Sul primo fronte, quello della trattativa, c’erano i Socialisti di Bettino Craxi, i Radicali, e, soprattutto, Papa Paolo VI (al secolo Giovanni Montini) che in gioventù strinse una lunga e duratura amicizia con lo statista.
Sul fronte della linea dura, invece, il resto del Parlamento in prima linea la Democrazia Cristiana.
In una lettera Aldo Moro scrive a Cossiga: «esiste un problema, postosi in molti e civili paesi, di pagare un prezzo per la vita e la libertà di alcune persone estranee, prelevate come mezzo di scambio. Nella grande maggioranza dei casi la risposta è stata positiva ed è stata approvata dall'opinione pubblica».
Quindi il problema Politico, almeno da un lato pubblico, era anche quello di dimostrare che l’Italia era un paese forte che non si sarebbe abbassato a stringere alcun tipo di accordo con i terroristi.
Sempre Cossiga, anni dopo, parlando del Caso Moro, afferma: «Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle è per questo. Perché mentre lasciavamo uccidere Moro, me ne rendevo conto. Perché la nostra sofferenza era in sintonia con quella di Moro».
La disperata lettera di Paolo VI alle Brigate Rosse
LETTERA DEL SANTO PADRE PAOLO VI ALLE BRIGATE ROSSE
Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l'onorevole Aldo Moro. Io non vi conosco, e non ho modo d'avere alcun contatto con voi. Per questo vi scrivo pubblicamente, profittando del margine di tempo, che rimane alla scadenza della minaccia di morte, che voi avete annunciata contro di lui, Uomo buono ed onesto, che nessuno può incolpare di qualsiasi reato, o accusare di scarso senso sociale e di mancato servizio alla giustizia e alla pacifica convivenza civile. Io non ho alcun mandato nei suoi confronti, né sono legato da alcun interesse privato verso di lui. Ma lo amo come membro della grande famiglia umana, come amico di studi, e a titolo del tutto particolare, come fratello di fede e come figlio della Chiesa di Cristo.
Ed è in questo nome supremo di Cristo, che io mi rivolgo a voi, che certamente non lo ignorate, a voi, ignoti e implacabili avversari di questo uomo degno e innocente; e vi prego in ginocchio, liberate l'onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni, non tanto per motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità, e per causa, che io voglio sperare avere forza nella vostra coscienza, d'un vero progresso sociale, che non deve essere macchiato di sangue innocente, né tormentato da superfluo dolore. Già troppe vittime dobbiamo piangere e deprecare per la morte di persone impegnate nel compimento d'un proprio dovere. Tutti noi dobbiamo avere timore dell'odio che degenera in vendetta, o si piega a sentimenti di avvilita disperazione. E tutti dobbiamo temere Iddio vindice dei morti senza causa e senza colpa. Uomini delle Brigate Rosse, lasciate a me, interprete di tanti vostri concittadini, la speranza che ancora nei vostri animi alberghi un vittorioso sentimento di umanità. Io ne aspetto pregando, e pur sempre amandovi, la prova.
Dal Vaticano, 21 aprile 1978
L’Epilogo 9 maggio 1978
La fine dello statista, arriva a mezzo di una telefonata:
9 maggio 1978 - Ritrovamento del corpo di Aldo Moro in Via Caetani |