Incidente aereo di Castelsilano |
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Martedì 29 Gennaio 2013 15:33 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
L'incidente aereo di Castelsilano, spesso citato con la locuzione MiG libico precipitato sulla Sila o simili, è un sinistro aviatorio riscontrato il 18 luglio 1980 sui monti della Sila, in zona Timpa delle Magare[1], in contrada Colimiti, nell'attuale comune di Castelsilano[2], in Calabria. L'incidente coinvolse un MiG-23MS dell'Aeronautica militare libica, il corpo del cui pilota Ezzedin Fadah El Khalil venne ritrovato privo di vita poco distante dai rottami.
Del fatto si sono avute comunicazioni ufficiali da parte delle autorità militari italiane, ma nel tempo si sono sviluppate ipotesi che attribuiscono a circostanze sensibilmente diverse le ragioni e le modalità dell'accaduto. In particolare, ci sono sospetti che l'incidente in cui è rimasto coinvolto questo aereo possa essere in qualche modo collegato alla strage di Ustica, avvenuta il 27 giugno dello stesso anno
Giovanni Spadolini, ministro della difesa dal 1983 al 1987, ebbe a dire che chi avesse risolto il giallo del MiG avrebbe potuto capire la strage di Ustica[3].
Notizia del sinistro e primi interventi delle autorità
Alle 11:00 circa del 18 luglio numerosi abitanti del luogo, alla vista di un velivolo che volava a bassa quota e di alcuni pennacchi di fumo che si levarono poco dopo un boato, si recarono sul posto, a mezza costa di un canalone; qui arrivarono anche i pompieri per domare un incendio che si era nel frattempo esteso alla vegetazione e che durò per alcune ore. A poca distanza dai rottami si trovava il cadavere di un uomo in uniforme da pilota, steso supino sul terreno, vicino al seggiolino, con la calotta cranica asportata ed il bulbo dell'occhio sinistro fuori dall'orbita.[4]
Intervennero i Carabinieri e, verso le 17:30 (forse a causa della zona impervia), alcuni ufficiali dell'Aeronautica Militare esperti di incidenti aerei, il comandante e il vicecomandante della base di Gioia del Colle, ed il generale Zeno Tascio, capo del SIOS dell'Aeronautica Militare.
I rottami erano divisi in tre tronconi principali, allineati da sud verso nord: coda, motore e resto della fusoliera con le ali a geometria variabile piegate oltre il massimo consentito a causa dell'impatto. Pezzi del muso erano sparsi nella parte alta del canale, mentre più in basso erano presenti altri frammenti. La zona interessata dall'incendio è la parte sinistra della fusoliera ed il fuoco appariva innescato dai liquidi residui a bordo (olii, combustibile residuo e liquidi di raffreddamento)[4].
La salma del pilota fu rimossa solo verso le ore 20:00.[5] L'ufficiale sanitario locale, Francesco Scalise, indicò che la morte del pilota era avvenuta la mattina del 18 luglio. Il 19 luglio il vicepretore Savelli rilascò il nulla osta al seppellimento.
L'inchiesta
I libici ammisero fin dall'inizio la perdita del caccia e chiesero di fare parte di una commissione di inchiesta insieme alle autorità italiane.[6] Entrambe le Forze Armate avevano rispettive competenze che le obbligavano ad investigare le cause di sinistro.
La commissione italo-libica
L'incidente fu ricostruito da una apposita commissione nominata dallo Stato Maggiore dell'Aeronautica, formata da ufficiali dell'Aeronautica militare italiana con la partecipazione di rappresentanti dell'Aeronautica militare libica. La commissione, presieduta dall'allora colonnello Sandro Ferracuti (in seguito capo di stato maggiore) si riunì dal 24 luglio al 22 agosto e produsse un rapporto, chiamato Documentazione tecnico formale, che si compone anche del verbale dei Carabinieri relativo al rinvenimento del relitto, del referto dell'ufficiale sanitario e dell'autopsia alla salma del pilota e di vari allegati.
Tutti questi atti, che compongono la versione ufficiale delle autorità italiane sull'accaduto, sono oggetto di discussione in quanto stabiliscono la data dell'impatto e la morte del pilota al giorno del rinvenimento, mentre da alcune fonti si ipotizza che il pilota possa essere invece deceduto diverso tempo prima del 18 luglio e che sostanzialmente quanto osservato altro non fosse che una sorta di messinscena eventualmente allestita al fine di celare un possibile coinvolgimento del velivolo libico nella strage di Ustica e consistente nella post-datazione di un sinistro già avvenuto.
Il rapporto dell'Aeronautica Militare dichiarò che l'aereo sarebbe decollato dalla Libia e che, in seguito ad una progressiva perdita di conoscenza del pilota, avrebbe proseguito il volo con il pilota automatico – quindi a quota livellata di 12 km – precipitando sul territorio italiano per esaurimento del combustibile.[7] Successivamente, l'ITAV produsse la Relazione dell'Ispettorato delle Telecomunicazioni e Assistenza al Volo del 15 ottobre 1988: la prima individuava cause e modalità dell'incidente calcolando traiettoria e tempi del percorso del caccia libico, la seconda «non esclude completamente» la possibilità di corrispondenza tra una traccia rilevata dal radar di Otranto il 18 luglio e il volo del MiG-23.[8]
Secondo la strumentazione di bordo che registrava i dati del volo (flight recorder), il volo medesimo sarebbe durato circa 80 minuti; secondo gli orari indicati nel rapporto della commissione, l'aereo sarebbe stato in aria dalle 9:54 alle 11:14, e se si corregge l'orario di decollo alle 9:44, come appunto determinato dalla commissione, dieci minuti in più, per un totale di 80 minuti.
Ricostruzione ufficiale del volo
![]() Possibile percorso compiuto dal MiG-23 libico sulla base del tracciato fornito dall'Aeronautica libica.
Secondo il rapporto stilato dall'Aeronautica Militare e dalle fonti libiche[9], il volo del MiG caduto faceva parte della missione NEMER, composta da due MiG-23 senza armamento né serbatoi esterni; questa missione era stata programmata il giorno precedente e prevedeva una navigazione ad alta quota (10.000 m) per simulare un'intrusione nemica.[10] La parallela missione ARAB simulava invece l'intercettazione per un'esercitazione GCI (ground-controlled interception, intercettazione con guida da terra).
La delegazione libica fornì alle autorità italiane un tracciato del percorso seguito dall'aereo caduto, ed ai punti A, B, C del detto tracciato (ricostruito in una immagine qui a destra) si fa riferimento per la ricostruzione della rotta seguita.
La missione NEMER decollò alle ore 9:45 dall'Aeroporto di Benina, Bengasi[11], e raggiunse Qaminis per poi deviare e portarsi su Marsa al Burayqah, punto A, dopo circa 13 minuti dal decollo. Durante la virata, senza motivo apparente, il capo formazione (Ezzedin Khalil) perse 6.500 m di quota e solo dopo essere stato avvisato dal gregario riconquistò i 9.500 m.
Dopo circa 19 minuti dal decollo, sempre secondo la ricostruzione, l'aereo raggiunse il punto B, situato ad est del punto A. Durante la virata per il punto C il capo formazione perse nuovamente quota, portandosi a 7.500 m e nuovamente avvertito dal gregario, ritornava a 10.000 m. Al passaggio dal punto B, la guida da terra iniziava le comunicazioni con la formazione.
Il MiG del capo formazione si portava, senza richiesta, a 12.000 m. Fino a 2 minuti prima dell'arrivo al punto C, a Madrasat Thalath, le trasmissioni del capo formazione erano regolari. Doppito il punto C, però, il capo formazione prese prua a 330°[12], anziché quella prevista a 305°, e la mantenne costantemente fino a scomparire dal radar di Benina, che aveva una portata di oltre 300 km. Il pilota smise di rispondere alle chiamate radio.
Sia il capo formazione ARAB che la guida caccia a terra supposero un'avaria alla radio e ordinarono perciò al gregario della NEMER di passare davanti al suo capo formazione e di farsi seguire scuotendo le ali[13]. Il gregario eseguì la manovra per ben due volte, a 40 km dalla costa, ma senza successo. Ormai, a già circa 60 km dalla costa libica e con soli 1400 litri di combustibile, il gregario si portava all'atterraggio, lasciando il capo formazione con una configurazione delle ali a 45°[14] e quota 12 km. Il pilota gregario riferì che il capo formazione, sebbene con la testa eretta, non la muoveva né reagiva.
Gli ultimi rilevamenti radar da parte dell'Aeronautica Libica sarebbero quindi posizionati attorno ai 400 km da Benina, quando l'aereo poi ritrovato a Castelsilano aveva prua a 330°.
Le autorità libiche ipotizzarono un'autonomia di 400-500 km ed iniziarono le ricerche in una zona compatibile in direzione 330° da Benina, usando mezzi esclusivamente nazionali, ma senza trovare alcunché.
Il pilota
Il pilota, capitano Khalil Ezzeden (o Ezzedin Fadah El Khalil), fu trovato morto nei pressi del relitto. Il nome del pilota non fu ricostruito immediatamente, sul casco rinvenuto nel luogo di sinistro appariva in lettere arabe la scritta "Ezzedan Koal"[15]. Inizialmente sui registri dell'anagrafe di Castelsilano era stato annotato il nome al Adin Fadal, poi mutato in Fadal-Al-Adin, che era stato comunicato dal pretore di Savelli il 19 luglio, e dopo ancora il nome è stato corretto in Ezzedin Chalil ed infine quello oggi noto[15].
Secondo la delegazione libica ammessa alla commissione di inchiesta militare[16], il capitano Ezzeden era nato a Bengasi il 17 marzo 1950 (era quindi trentenne all'epoca del fatto) ed era in forza alla base aerea di Benina. Sempre secondo le autorità della Libia[16], aveva conseguito il brevetto di pilota militare nel 1972, nel 1980 aveva quindi già 8 anni di esperienza, articolati su pilotaggio di Galeb, Jastreb, MiG-21 e MiG-23 per un totale di circa 927 ore di volo assommate con addestramenti in Libia, Russia e Jugoslavia. Era qualificato come combat ready (idoneo al combattimento) e capo coppia.
Secondo alcune fonti[17], però, il pilota sarebbe stato un mercenario siriano di origine palestinese ebraica. Nel 1988 un imprenditore italiano in affari con la Siria telefonò alla trasmissione Telefono Giallo[18] per riferire di informazioni apprese da un ufficiale dell'aeronautica militare di quello stato, tale colonnello Monajer; l'imprenditore, che poi ripeté le sue affermazioni al giudice istruttore Rosario Priore, disse che il Monajer aveva affermato che il MiG era coinvolto nella strage e che il pilota, suo amico, era siriano come tutti i piloti di MiG libici.[19]. Intorno al 1990, l'Aeronautica Militare conferì alla Commissione Stragi un documento medico nel quale si sosteneva che il pilota fosse circonciso[20].
L'autopsia
L'autopsia fu eseguita il 23 luglio, 5 giorni dopo il rinvenimento e la successiva sepoltura del cadavere. Ad esito della stessa i periti indicarono nel 18 luglio la data della morte del pilota. A seguito del fatto che il cadavere, che si presentava ormai in stato di avanzata decomposizione, fosse privo della massa encefalica, non si poté stabilire cosa avesse portato in stato di incoscienza il pilota. L'autopsia attribuì il decesso del pilota all'impatto.
In seguito, gli stessi professionisti che avevano compiuto l'esame fecero riferimento ad una memoria aggiuntiva del 26 luglio, asseritamente firmata del medico legale Anselmo Zurlo che aveva eseguito l'autopsia del cadavere del pilota, e secondo questa la morte del pilota del MiG-23 libico sarebbe risalita ad almeno 10-15 giorni prima del 18 luglio[21]. Il cadavere ritrovato era in uno stato di "avanzatissima" putrefazione, puzzava e il sindaco di Castelsilano ne autorizzò la tumulazione immediata[22].
Le dichiarazioni circa questa memoria aggiuntiva incontrarono le obiezioni dei giudici di Crotone, i quali sottolinearono che i due periti, interrogati sulla supposta sparizione di un documento importante, sparizione potenzialmente foriera di conseguenze penali, non ricordavano a chi avessero consegnato la memoria né in quale ufficio, non avevano ritenuto di informare il magistrato dell'errore in cui avrebbero affermato di essere incorsi, non avevano copia di questo elaborato che nemmeno ricordavano chi avesse materialmente redatto. E per di più, nota il giudice istruttore Staglianò nel 1989, l'ammissione di un errore così grave sarebbe stata contenuta in "una paginetta e mezza", per il che "non resta che elogiare la capacità di sintesi dei due professori, che hanno saputo compendiare in un testo di poche righe elaborazioni scientifiche di indubbia caratura e ponderosità".[23] Lo stesso magistrato riferiva nel medesimo atto di conoscere la circostanza della vecchia amicizia che legava il professor Zurlo all'amministratore di Itavia, Davanzali, che avrebbe avuto interesse a dimostrare che il DC9 non era caduto per cedimento strutturale, ma malgrado "robusti sospetti", di ciò non vi erano prove.[23]
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Analisi giudiziarie dell'incidente
Secondo gli atti dell'inchiesta sulla strage di Ustica, a firma del giudice istruttore Rosario Priore, la versione ufficiale, prodotta dalla commissione italo-libica, apparirebbe verosimilmente confutata da alcune testimonianze e circostanze le quali avrebbero consentito di retrodatare la caduta del velivolo libico, ponendola a immediato ridosso della tragedia del DC-9.
Tra queste, in primo luogo vi fu il referto autoptico di Anselmo Zurlo ed Erasmo Rondanelli[24], in cui i due patologi definirono «avanzatissimo» lo stato di decomposizione della salma del pilota[25], ma che comunque datava la morte al 18 luglio. I due medici dichiararono di aver consegnato il giorno seguente alla Procura di Crotone un supplemento di perizia in cui retrodatavano la morte del pilota proprio sulla base dello stato di putrefazione, supplemento che non risulta tra gli atti acquisiti dalla procura, mai esistita per i giudici della Procura di Crotone, sottratta invece per il giudice istruttore Priore[26]. Vi sono altre testimonianze, raccolte sul luogo e nelle aree limitrofe[27], che riportavano l'evento ad una data prossima o coincidente con la scomparsa del volo Itavia.
Peraltro, nel 1999 si ipotizzò che il cadavere del pilota potesse essere stato conservato in una cella frigo presso l'aeroporto militare di Gioia del Colle[28].
Durante il dibattimento si scontrarono sul piano tecnico i lavori dei periti di parte inquirente e di parte imputata:
L'indagine tecnica di parte inquirente relativa alle condizioni meteo del 18 luglio ed alle caratteristiche di funzionamento del pilota automatico del MiG-23, concluse che il velivolo sarebbe dovuto cadere più ad ovest e ben prima di raggiungere le coste calabresi. Anche la corrispondenza tra la traccia radar rilevata da Otranto fu ritenuta incompatibile con quanto concluso nella relazione della commissione italo-libica.[31]
Sulla copia della pellicola della scatola nera (FDR) a disposizione dell'autorità giudiziaria non erano registrati né l'angolo di prua, né la data di volo[32]; l'originale era stata consegnata al SIOS e al momento delle indagini non era più disponibile agli atti per un confronto.[33]
![]() Il giudice Priore durante un sopralluogo effettuato l'8 ottobre 1990 nel sito di ritrovamento del MiG
Esiste una missiva datata il 9 dicembre 1988 in cui lo Stato Maggiore della Difesa, dopo aver interessato le tre forze armate ed ottenuto le risposte ai quesiti richiesti, riferiva che:[34]
Secondo l'istruttoria Priore, l'esercitazione in corso il 18 luglio 1980 ed il conseguente stato di allerta che ne derivava, sia della rete radar che degli intercettori in volo, rendeva incompatibile la «penetrazione non identificata di un velivolo estraneo» nell'area in quella data, per lo meno nelle modalità che l'istruttoria ritiene descritte: pilota svenuto o deceduto, quindi volo rettilineo, alta quota quindi altamente visibile da tutti i radar[36] (il rapporto dell'Aeronautica Militare non descriva tali modalità, in particolare un percorso ad alta quota, incompatibile con un impatto al suolo)[37].
Testimonianze a contrasto del rapporto dell'Aeronautica
A sostenere l'ipotesi che l'aereo libico MiG-23 fosse caduto, non il 18 Luglio, come sostenuto dalla versione "ufficiale", bensì il 27 Giugno 1980, contemporaneamente al DC-9 Itavia, venne la testimonianza di Filippo Di Benedetto, al tempo caporale, che prestava servizio di leva presso la caserma Settino di Cosenza; l'ex-caporale testimoniò al giudice, che il 28 giugno 1980, cioè il giorno successivo all'abbattimento dell'aereo DC-9 Itavia, era stato inviato per servizio insieme ad altri soldati nella zona di Castelsilano, dove era caduto un aereo da guerra che avrebbero dovuto piantonare[38]. Questa versione venne confermata dai suoi commilitoni del battaglione "Sila", dai militari del 67esimo battaglione Bersaglieri "Persano" e del 244esimo battaglione fanteria "Cosenza" sostenenti di aver effettuato servizi di sorveglianza al MiG-23 non a Luglio, bensì a fine Giugno 1980. [39] [40] Inoltre le testimonianze depositate dei sottufficiali De Giosa Nicola e Linguanti Giulio affermanti che "La fusoliera del MiG era foracchiata come se fosse stata mitragliata... erano sette od otto fori da 20 mm... ritenni che si trattasse di colpi di cannoncino..." sono un ulteriore conferma che quel MiG cadde in circostanze non ancora chiare, ma in ogni caso diverse da quanto ufficialmente dichiarato.[41] rendendo plausibile la possibilità che il caccia libico potesse essere stato protagonista, diretto od indiretto, degli eventi che hanno portato alla caduta dell'aereo civile italiano.
Note
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