Processo della strage di Ustica |
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Martedì 29 Gennaio 2013 15:23 | ||||||||
In relazione alla strage di Ustica la magistratura italiana[1] ha celebrato una serie di procedimenti sia penali che civili. Alcuni procedimenti sono stati volti a cercare le cause e gli autori o responsabili della strage, mentre altre hanno riguardato i presunti depistaggi nell'accertamento dei fatti.
Circa le cause e gli autori della strage, non si giunse mai a processo, in quanto l'inchiesta del giudice istruttore si chiuse nel 1999 restando "ignoti gli autori della strage". Nel diritto penale italiano il reato di strage non cade mai in prescrizione per cui, nell'eventualità che dovessero emergere nuovi elementi, l'istruttoria potrebbe in qualunque tempo riaprirsi ed eventualmente condurre a processo laddove si ipotizzassero estremi di responsabilità penale.
Si giunse invece a dibattimento per ipotesi di reato relative al sospetto che, al fine di evitare l'accertamento delle responsabilità della strage, fossero stati posti in essere comportamenti sostanzialmente inquadrabili come tentativo di depistaggio; queste ipotesi furono ascritte ad alti ufficiali dell'Aeronautica Militare.
Il relativo processo si è concluso definitivamente nel gennaio del 2007, quando la Cassazione ha assolto gli imputati, mentre un procedimento civile presso il foro di Palermo ha visto la condanna dei ministeri dell'interno e della difesa al pagamento di 100 milioni di euro a titolo di risarcimento ai familiari delle 81 vittime della strage.
L'istruttoria Priore
Le indagini si concludono il 31 agosto 1999, con l'ordinanza di rinvio a giudizio-sentenza istruttoria di proscioglimento, rispettivamente, nei procedimenti penali nº 527/84 e nº 266/90, un documento di dimensioni notevoli che, dopo anni di indagini, la quasi totale ricostruzione del relitto, notevole impiego di fondi, uomini e mezzi, esclude una bomba a bordo[2] e un cedimento strutturale,[3] circoscrivendo di conseguenza le cause della sciagura ad un evento esterno al DC 9.[4] Non si giunge però a determinare un quadro certo ed univoco di tale evento esterno. Mancano inoltre elementi per individuare i responsabili.
«L'inchiesta», si legge nel documento, «è stata ostacolata da reticenze e false testimonianze, sia nell'ambito dell'Aeronautica italiana che della NATO, le quali hanno avuto l'effetto di inquinare o nascondere informazioni su quanto accaduto».
L'ordinanza-sentenza conclude:
Nella ricostruzione degli eventi, secondo le conclusioni del giudice Priore, le cause più probabili del disastro sarebbero da ricercarsi nell'onda d'urto di un missile, o una quasi collisione - un evento consistente in un passaggio di un velivolo ad alta velocità vicinissimo al DC-9, che provoca così un sovraccarico aerodinamico sulla semiala sinistra, tale da causarne la rottura e innescare una serie di effetti che portano alla destrutturazione in quota e caduta dell'I-TIGI.-[5] Questa teoria è in origine formulata dai professori Dalle Mese[6] e Casarosa[7], due dei periti di parte inquirente. L'ipotesi di quasi collisione, evento noto con modalità diverse nella casistica mondiale degli incidenti aerei, viene aspramente criticata da vasta parte del mondo scientifico aeronautico, che lo ritiene nella pratica «sommamente improbabile pur se non impossibile» su un piano esclusivamente teorico. Tuttavia la perizia metallografica dei professori Donato Firrao (Politecnico di Torino), Sergio Reale (Università di Firenze) e Roberto Roberti (Università di Brescia), avrebbe escluso l'ipotesi di un'esplosione sia interna (bomba), che esterna (mancherebbero anche i segni di schegge dell'eventuale missile).
Le tracce di esplosivi rinvenute sui reperti possono quindi essere spiegate o dall'esplosione di un missile a prevalente effetto blast e trascurabile produzione di schegge, o dalla temporanea custodia degli oggetti recuperati in mare in locali di navi militari in cui erano stati precedentemente collocati materiali esplosivi (la camera siluri). Le tracce rinvenute in seguito in tali locali non erano però di tale entità da giustificare una contaminazione, che rimane dunque una possibilità non provata.
Nell'ordinanza-sentenza viene dedicato anche un ampio spazio al MiG-23MS libico ritrovato nei pressi di Castelsilano e che secondo l'ipotesi inquirente, basata su alcuni fatti e testimonianze, non sarebbe precipitato il 18 luglio, ma in una data tale da farne ipotizzare un collegamento con la caduta del DC-9 Itavia.
I responsabili materiali della strage non possono, al momento, essere individuati e il procedimento penale n. 527 84 a G. I. dichiara «il non doversi procedere in ordine al delitto di strage perché ignoti gli autori del reato».
L'inchiesta non è priva di ulteriori strascichi giudiziari. «Diversi i militari italiani che vengono considerati penalmente responsabili» non per la caduta del DC-9, per le quali non sono attribuite responsabilità all'Aeronautica italiana, ma per il comportamento successivo al disastro. Molti i reati contestati; tra cui: falso ideologico, abuso d'ufficio, falsa testimonianza, favoreggiamento, falso, dispersione di documenti. Per il vertice dell'Aeronautica del tempo furono rinviati a giudizio i generali: Bartolucci e Ferri[8] e i generali Melillo e Tascio[9]; si aggiunge un'ulteriore ipotesi di reato: alto tradimento, per aver impedito, tramite la comunicazione di informazioni errate, l'esercizio delle funzioni del governo.
Il processo sui presunti depistaggi
Il 28 settembre 2000, nell'aula-bunker di Rebibbia appositamente attrezzata, inizia il processo sui presunti depistaggi, davanti alla terza sezione della Corte di Assise di Roma.
Dopo 272 udienze e dopo aver ascoltato migliaia tra testimoni, consulenti e periti, il 30 aprile 2004, la corte assolve dall'imputazione di alto tradimento - per aver gli imputati turbato (e non impedito) le funzioni di governo - i generali Corrado Melillo e Zeno Tascio "per non aver commesso il fatto". I generali Lamberto Bartolucci e Franco Ferri vengono invece ritenuti colpevoli ma, essendo ormai passati più di 15 anni, il reato è caduto in prescrizione.
Anche per molte imputazioni relative ad altri militari dell'Aeronautica (falsa testimonianza, favoreggiamento, ecc.) viene dichiarata la prescrizione. Il reato di abuso d'ufficio, invece, non sussiste più per modifiche successive alla legge.
La sentenza non soddisfa né gli imputati Bartolucci e Ferri, né la Procura, né le parti civili. Tutti, infatti, presentano ricorso in appello.
In Corte di Assise d'Appello
Anche il processo davanti alla Corte di Assise d'Appello di Roma, aperto il 3 novembre 2005, si chiude il successivo 15 dicembre con l'assoluzione dei generali Bartolucci e Ferri dalla imputazione loro ascritta perché "il fatto non sussiste".
La Corte rileva infatti che non vi sono prove a sostegno dell'accusa di "alto tradimento".
Le analisi condotte nella perizia radaristica Dalle Mese, sono state eseguite con «sistemi del tutto nuovi e sconosciuti nel periodo giugno-dicembre 1980» e pertanto non possono essere prese in considerazione per giudicare di quali informazioni disponessero, all'epoca dei fatti, gli imputati. In ogni caso la presenza di altri aerei deducibile dai tracciati radar non raggiunge in alcuna analisi il valore di certezza e quindi di prova. Non vi è poi prova che gli imputati abbiano ricevuto notizia della presenza di aerei sconosciuti o USA collegabili alla caduta del DC-9.
La Corte rileva inoltre che l'informativa trasmessa dagli imputati al governo non risulta errata: i radar militari di Licola, Marsala e Siracusa non rilevano alcun traffico sconosciuto[10], come invece si può dedurre dai tracciati radar di Ciampino, che non è citato nell'informativa. Quindi viene ritenuta corretta l'affermazione che i radar militari «non confermano» (che non equivale ad esclude) traffico sconosciuto.
L'unica informazione errata è relativa all'interruzione dei nastri di Marsala "effettuata da un operatore per dimostrare la procedura di cambio del nastro", quando invece secondo la sentenza, i motivi sarebbero da individuare nell'inizio di un'esercitazione simulata[11] circa 4 minuti proprio dopo il disastro aereo; Altresì non si può non notare che la sostituzione del nastro impedirà per oltre mezz'ora la rilevazione reale di ogni traccia radar nella zona del basso Tirreno, da parte della stazione radar meglio posizionata per controllare la zona interessata, rilevazione che, se disponibile, avrebbe potuto chiarire meglio l'evoluzione degli eventi nei minuti successivi alla caduta del DC-9.
Le reazioni alla sentenza
La sentenza provoca subito accese critiche da parte delle Parti Civili. La senatrice Daria Bonfietti, sorella di una delle vittime e presidente della "Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica", in una conferenza stampa definisce la sentenza "una vergogna".
Nelle motivazioni della sentenza, pubblicate il 6 aprile 2006, alla pagina 48, la Corte (fatto inusuale) raccoglie la provocazione e replica a questa accusa:
Di seguito, sempre in risposta alle critiche, la Corte specifica:
Il ricorso in Cassazione
La Procura Generale di Roma propone ricorso per cassazione chiedendo l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello del 15 dicembre 2005, e come effetto dichiarare che «il fatto contestato non è più previsto dalla legge come reato» anziché «perché il fatto non sussiste». La legge inerente all'alto tradimento è stata infatti modificata con decreto riguardante i reati d'opinione[13].
La differenza tra le due formule è rilevante. Immediatamente è stato evidenziato che l'assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste indica che nel caso esaminato non c'è alcuna prova che gli imputati abbiano compiuto azioni tendenti a ostacolare, turbare o impedire le azioni del governo, e che quindi non hanno commesso i fatti per cui hanno dovuto rispondere in giudizio. L'annullamento della sentenza di appello perché «il fatto contestato non è più previsto dalla legge come reato» significa invece non escludere che gli imputati abbiano commesso i fatti per cui sono giudicati: solo la prima delle due formule, insomma, vale a dichiarare l'insussistenza originaria di ogni fatto-reato.
Il 10 gennaio 2007 la prima sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta da Torquato Gemelli, conferma la sentenza pronunciata nel dicembre del 2005 dalla corte d'Assise d'appello di Roma, dichiarando inammissibile il ricorso presentato dalla Procura Generale di Roma e rigettando quello dell'Avvocatura dello Stato, che rappresentava la Presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero della Difesa, costituitisi parte civile.
Nelle motivazioni della sentenza viene ribadita l'interpretazione che occorre dare all'assoluzione ai sensi dell'articolo 530 comma 2 c.p.p. con la formula «perché il fatto non sussiste» pronunciata dalla corte di Assise. L'opinione delle parti civili tende ad interpretare l'assoluzione degli imputati come non completa.
Quote necessaria e che gli imputati - per la posizione ricoperta all'epoca - non potessero non sapere; che abbiano effettivamente commesso i fatti loro contestati e che siano stati assolti, semplicemente perché non sono state raccolte prove sufficienti per condannarli.
Le dichiarazioni di Cossiga: apertura di una nuova inchiesta
A ventotto anni dalla strage, la procura di Roma ha deciso di riaprire una nuova inchiesta a seguito delle dichiarazioni rilasciate nel febbraio 2007 da Francesco Cossiga. L'ex presidente della Repubblica, presidente del Consiglio all'epoca della strage, ha dichiarato che ad abbattere il DC9 sarebbe stato un missile «a risonanza e non a impatto», lanciato da un velivolo dell'Aéronavale decollato dalla portaerei Clemenceau, e che furono i servizi segreti italiani ad informare lui e l'allora ministro dell'Interno Giuliano Amato dell'accaduto.[14].
Il generale dell'Aeronautica Vincenzo Manca, ex senatore e vicepresidente della commissione bicamerale d'inchiesta sulle stragi, ha dichiarato che «non esiste un missile che scoppia a risonanza: i missili si differenziano per il sistema di guida con cui agganciano l'obiettivo, non per il tipo di scoppio». L'affermazione del generale Manca è però incompleta, in quanto i missili aria-aria possono avere differenti tipologie di testata.
Nel 2002, nella sua deposizione alle autorità inquirenti, lo stesso Cossiga aveva invece dichiarato che, ai tempi della Strage, non aveva nessun elemento per non credere che si fosse trattato di un cedimento strutturale e che, nell'arco di 22 anni, aveva sempre saputo che al DC-9, fosse occorso un normale incidente aereo.[15]
Successivamente infine, il 24 maggio 2010, lo stesso ex Presidente emerito della Repubblica Italiana dichiarò sui maggiori quotidiani che, per non essere visto dall'aereo libico con Gheddafi, un aereo francese era sotto quello italiano: partì un missile «per sbaglio, volendo colpire l'aereo del presidente libico».[16]
Benché restino ignote le motivazioni che hanno portato Francesco Cossiga a tali radicali cambiamenti di opinione, le ultime dichiarazioni hanno sortito l'effetto di spingere la Procura della Repubblica, attraverso i procuratori Amelio e Monteleone, ad aprire una nuova inchiesta sulla strage di Ustica, ancora in pieno svolgimento. Benché coperta da segreto istruttorio, indiscrezioni riportano che l'inchiesta starebbe attualmente vertendo sulle rogatorie inviate a Stati Uniti, Francia e altri alleati della NATO, alle quali non è mai stata data, fino ad oggi, alcuna risposta[17].
Note
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Ultimo aggiornamento Martedì 29 Gennaio 2013 15:31 |