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La tregua di Natale del 1914


La tradizione del Natale
tra leggenda e storia

 

 

Scritto da Giancarlo Nobile  
Domenica 06 Maggio 2012 17:12

O’ ciummo, o’ pascone, Giordano, Scavuzzone, Rubeolo….Sebeto. Sono solo alcuni dei nomi con i quali gli anziani, i vecchi contadini di Napoli, di Gianturco/Barra, Ponticelli, Volla, Cercola, Tavernanova indicano il fiume della loro gioventù.

Un fiumiciattolo nero che scorreva con un certa continuità fino a qualche decennio fa e che ancora oggi possibile osservare in alcuni angoli superstiti…

Sulle tracce dell’antico, mitico Sebeto, dei vecchi acquitrini è un viaggio da compiere senza indugi per conoscere e penetrare l’antica storia del quartiere di Barra. Un viaggio dalla Casa dell’Acqua di Tavernanova al casino borbonico dl Lufrano. Dalle campagne di Ponticelli fino a Gianturco/Barra e al Ponte della Maddalena.

Nel fiume, un tempo dalle acque limpide e purissime, tanto che si pescavano gamberetti, anguille, le rinomate anguille ‘sebetine’ piatto prelibato servito sulla tavola di taverne famose come quelle delle Carcioffole, presso i mulini del Sebeto, che fecero ricca, un tempo, Barra.

Purtroppo, già dai primi decenni di questo secolo, quest’area è stata oggetto di una forte urbanizzazione selvaggia e di industrializzazione sempre più devastante e senza veri sbocchi economici era pura speculazione per pochi criminali

 

Superstrade ed enormi raccordi autostradali hanno via via ridotto la campagna costringendo i contadini superstiti a lavorare circondati da nastri d’asfalto. Tant'è che una terra fertilissima ricca di acque e orti è diventata una periferia allucinante, svilendo e mortificando la natura dell’uomo dei campi che per secoli avevano caratterizzato la gente del Sebeto nella parte orientale della città.

Il Sebeto, l’antichissimo fiume di Napoli, cantato da Virgilio, Boccaccio, Sannazzaro, solo per citare i più grandi, celebrato dai viaggiatori del Gran Tour del 1700 che descrivevano la bellezza, la ricchezza di questi luoghi.

Il Mito del Sebeto divinità fluviale, generatrice di vita è ancora fortemente presente. La leggenda lo vuole sposo innamorato della Sirena Partenope. Dalla loro unione nasce la ninfa Sebetide che andò in sposa al re di Capri: Telone. Proseguendo nella genealogia, dai due nasce Ebalo, primo re di Partenope.

Oggi vi è la fontana del Sebeto a Largo Sermoneta a Mergellina, ed in ricordo dell’immortale amore del dio verso la sua Partenope, gli innamorati, dopo un bacio davanti alla fontana si giurano eterno amore, e si racconta che chi lo fa ha una unione felicissima che vince tutte le difficoltà.

Il fiume nasce dal Monte Somma o dalla Bolla, e dopo girovagato per le campagne di Casalnuovo di Cercola, di Barra arricchendosi lungo il cammino delle acque di fiumi minori, dei torrenti che scendevano dalla collina di Poggio Reale dall’acqua piovana, giungeva a Napoli nei pressi di via Cirillo, si divideva in due rami, uno sfociava ove vi è il Ponte della Maddalena.

Oggi il Sebeto ha ancora una forza evocativa straordinaria, la bellezza e il fascino dei luoghi dove il fiume scorreva sono direttamente proporzionati al degrado e alla distruzione ambientale.

Le migliaia di turisti che giungono a Napoli, vogliono visitare i luoghi del fiume, vogliono rivivere il mito della terra Foris Flubeum (oggi Barra) cantata da Virgilio e descritta dai turisti del settecentesco Gran Tour. Rimangono sbigottiti, increduli che tutto sia stato distrutto!

Ma la Casa dell’Acqua, i mulini, i ruderi, le vasche, le preesistenze e persistenze architettoniche e rurali, le superstite testimonianze borboniche resistono agli insulti del tempo e degli uomini.

Fa ben sperare il fatto che nella Proposta di variante per il centro storico e la zona orientale del Comune di Napoli si parli finalmente di recupero del fiume e della realizzazione di un parco agricolo. Ed è bello sapere che vi sono cittadini che chiedono con forza di chiamare il Quartiere Barra con il nobile nome di Quartiere Sebeto

 

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